La cernia bruna, Epinephelus marginatus, è un pesce dalla mole robusta e imponente, con una livrea di norma brunastra costellata da macchie irregolari di colorazione variabile (dal giallo all’argento). Il colore varia in funzione dell’umore dell’animale: livrea scura a tre macchie chiare sotto la pinna dorsale indica uno schema di colore legato ad aggressività territoriale; livrea chiara osservabile nelle giovani femmine che nuotano in acque libere; livrea a striature argentee e grandi macchie è lo schema di colore dei grossi maschi in periodo riproduttivo. La cernia può arrivare a 1 m di lunghezza e a circa 60 kg di peso. La cernia è la regina incontrastata dei fondali rocciosi, tormentati e ricchi di cavità e anfratti inaccessibili: le praterie di Posidonia l’attraggono solo quando sotto le foglie ci sono scogli e tane in grado di fornire un sicuro riparo. Questo pesce è molto abbondante sui fondali dell’AMP, dove le misure di gestione permettono il mantenimento di una consistente popolazione protetta dal fattore di disturbo che decima le popolazioni naturale: la pesca.
Questo pesce è un vorace predatore di cefalopodi (polpi e seppie) ma non disdegna anche i piccoli pelagici come sardine e acciughe alle quali tende agguati fulminei, appostandosi in zone di passaggio e catturandoli con la sua grande bocca, che aperta di scatto, funge da vera e propria macchina aspiratrice, lasciando nessuna via di fuga all’ignara preda. La cernia aveva un ruolo significativo nella cultura, nella dieta e nell’economia dell’antica Roma: molto apprezzata per il sapore delle sue carni, veniva regolarmente pescata, lavorata e conservata con numerose tecniche per poi essere commercializzata in tutto l’impero.